Biografia

Premessa


Dall’Italia dove sono nato, la mia famiglia, quand’ero bambino, si è trasferita in Argentina. Dall’inizio del settanta fino agli anni ottanta, durante gli studi universitari comincio a fare pratica all’ospedale psichiatrico e a vedere i primi casi di tossicodipendenza; a quell’epoca alcuni tossici più pericolosi venivano ricoverati insieme ai malati di mente. In seguito lavoro allo psichiatrico criminale, al carcere e al carcere aperto – una struttura con regime di semilibertà, come esiste in Argentina; sono anche impegnato in istituzioni minorili e vengo nominato direttore di un istituto per ragazze adolescenti.
All’interno dell’ospedale psichiatrico seguo anche la comunità terapeutica diretta da Ricardo Wilbur Grimson, uno psichiatra molto vicino all’esperienza di Basaglia e al sistema inglese messo in atto da Maxwell Jones; pochi anni dopo tale comunità viene smantellata perché considerata dai militari una struttura sovversiva: li aveva allarmati la parola “comunità”, secondo loro legata al termine “comunismo”. Sono riuscito a conoscere gli epigoni di questa esperienza, di cui mi aveva colpito in particolare la gestione democratica instaurata da Grimson: in essa gli infermieri erano in grado di gestire i malati di mente senza usare psicofarmaci né sistemi di contenzione, e alcuni malati potevano uscire, accompagnati da uno o due operatori.
All’ospedale psichiatrico criminale mi rendo conto che i primi pazienti tossici vengono sottoposti all’elettroshock. In quegli anni non si sapeva come trattare i tossicodipendenti: erano malati di mente?, delinquenti?, la loro era una scelta di vita?, o forse il risultato di un condizionamento biologico, familiare o sociale? A quell’epoca non si sapeva come sarebbe andato a finire chi si drogava. Cominciano a sorgere le prime comunità terapeutiche, che dovevano essere luoghi non stigmatizzanti. Molte di esse erano gestite da religiosi, preti, pastori protestanti e soprattutto ex tossici. Lavorare con i tossicodipendenti non veniva ben visto dalla comunità scientifica; la clinica si occupava soprattutto della psicosi e delle nevrosi, tutto il resto era considerato area della in-analizzabilità. In tale area, come nei vecchi manicomi di Pinel, vivevano perversi sessuali, personalità psicopatiche e tossicodipendenti.
Le nuove strutture cercavano di reinserire nella società il tossico, una volta uscito dalla dipendenza: alla cura del corpo si aggiungeva la cura dell’anima.
I ragazzi degli anni settanta diventano tossici a causa di delusioni politiche, di incomprensioni a livello familiare e soprattutto a causa del fallimento di un progetto di vita, quale quello di una affermazione a livello sociale.

Personalmente portavo avanti la mia terapia all’ospedale di Lanus, una cittadina satellite di Buenos Aires famosa per le ricerche sulla terapia di gruppo e per la teoria della comunicazione sotto la direzione di Carlos Sluzky, che dovrà poi fuggire dall’Argentina a causa del regime dei colonnelli, come anche Salvador Minuchin, uno dei padri della terapia familiare in America.
I miei maestri in Argentina sono stati i terapeuti incontrati nelle strutture psichiatriche, che si erano formati con Enrique Pichon Rivière. Il mio primo supervisore è stato Jorge Presta che aveva fondato un comunità terapeutica sullla scìa dello psicanalista Jorge Garcia Badaracco; Augusto Longoni mi ha seguito in supervisione ed è stato il relatore della mia tesi, “Il crimine del significante o il significante criminale – a proposito di una criminologia psicoanalitica”.
Ho sviluppato la tesi di dottorato su dei casi di delitti in famiglia, fra cui il principale è il caso di un ragazzo tossicomane che uccide la zia per rubarle pochi soldi; in esso si adombra già una personalità borderline che oggi andrebbe definita “soggetto da doppia diagnosi”.

Dopo alcuni anni di esperienze nelle varie strutture terapeutiche, intorno alla metà degli anni ottanta vado a far parte della Commissione di Prevenzione delle tossicodipendenze diretta da Grimson al Ministero della Sanità.
Vengo inviato in Italia dal Ministero a seguire un corso per operatori nel campo della tossicodipendenza, con lo scopo di aprire in Argentina delle strutture simili a Progetto Uomo – CeIS -Centro Italiano di Solidarietà - fondato da don Mario Picchi.
A conclusione del corso mi offrono di dirigere il settore di Terapia Familiare del CeIS; poiché nel frattempo in Argentina la politica governativa nell’ambito sanitario era cambiato, scelgo di rimanere in Italia, come avevo desiderato di tornare. Vengo poi a far parte del Corpo Insegnanti del Corso Base per operatori di comunità terapeutiche a Castel Gandolfo, nell’ambito della FICT – Federazione Italiana Comunità Terapeutiche e insegno Sociologia della Famiglia all’Istituto di Ricerca “Progetto Uomo” di Viterbo, riconosciuto dall’Università Salesiana; tengo poi un corso per un master su Devianza minorile riconosciuto dall’Univesità di Bologna.

Il problema droga ha interessato anche i politici, e c’è stato – almeno in Italia – un aiuto alle strutture non medicalizzate né repressive. Nel primo periodo gli operatori erano mossi dall’ideale di lavorare per una società migliore; molti, come tanti tossicomani, avevano vissuto l’esperienza del sessantotto. Che cosa ha determinato che certi si siano drogati e altri siano diventati operatori? In tutti c’era una condivisione di valori, di utopie, forse anche di solidarietà. Poi sono svanite le speranze di migliorare la società; si è sfaldata la struttura familiare, si sono corrotte le istituzioni preposte alla cura e al reinserimento. Negli ultimi trent’anni la violenza è aumentata; le strutture terapeutiche, efficaci all’inizio, sono andate facendosi inadeguate, talvolta addirittura impotenti; alcune sono diventate centri di potere politico, mentre gli operatori, privati della spinta ideale, sono diventati stanchi e demotivati.
Attualmente a livello nazionale si sta delineando una politica di restaurazione, in cui il tossicodipendente viene nuovamente inserito o nella categoria del delinquente – per cui deve essere rinchiuso in carcere – o in quella del malato di mente, da confinare in una struttura specializzata sotto il controllo dei farmaci. E’ come se la società avesse rinunciato alla terapia della parola, alla teoria della comprensione, e inoltre, sotto questa spinta repressiva, si sono ridotti i finanziamenti per le cure lunghe e incerte che riguardano i casi più gravi, che vanno sotto il nome di doppia diagnosi.

Gli interlocutori che più hanno determinato la mia formazione, pratica e teorica, sono stati Arnaldo Raskowsky, Maxwell Jones, Harold Bridger, Claude Olievenstein, Jacques Lacan, Michel Foucault, Jacques Derrida, Jurgen Habermas, Paul Ricoeur e, in Italia, Luigi Cancrini, Maurizio Andolfi, Maurizio Coletti.

Al CeIS mi occupo di tossicodipendenti e delle loro famiglie dalla metà degli anni ottanta. Ne ho vissuto gli aspetti positivi nel momento in cui era forte; si partiva dal soggetto più debole della catena – il tossicodipendente – per proporre un modello di comportamento che incidesse nel contesto sociale in cui egli tornava a vivere. Ho poi vissuto l’insorgere di un cambiamento della società che ha azzerato l’utopia; vi è stata un’involuzione politica delle strutture, divenute ghiotta preda di politici, in quanto scoperte come fonte di voti, di sovvenzioni, di cariche.
Ho avvertito la mancanza di ideali in parecchi operatori, entrati negli ultimi anni, non più motivati da ideali sociali e di riscatto.
Le strutture inizialmente fondate soprattutto su motivazioni etiche, nelle quali volontari ed ex tossici erano messi alla guida di programmi terapeutici, hanno in seguito potuto fruire di apporti più validi sul piano della preparazione scientifica; si è passati ad una elaborazione teorica, affontando la tossicità non più come un disagio coperto dalla droga, ma determinato da fattori molteplici, in cui la doppia diagnosi mette in discussione gli strumenti finora acquisiti per intervenire.
Mentre agli inizi la famiglia aveva un ruolo determinante nel processo di cura, essa, con il mutare della società è andata via via perdendo di importanza, insieme ai valori da essa rappresentati. La nuova famiglia si presenta senza più un struttura gerarchica e senza rappresentare più un confine di protezione, essa stessa si trova ad essere in balìa della situazione borderline, per cui non è più in grado in molti casi di costituire una risorsa di sostegno.

Le ultime pubblicazioni, che testimoniano del mio percorso terapeutico sono:
“Io diviso/Io riunito – per una psicoetica dell’operatore sociale”: in esso sviluppo il tema relativo al “prendersi cura dell’altro”; completano il libro alcuni dialoghi con personalità significative nell’ambito della filosofia, del diritto, della bioetica, della psichiatria, dell’antropologia, della psicanalisi ecc., come Paul Ricoeur, Harold Bridger, Giovanni Berlinguer, Giovanni Conso, Franco Ferrarotti, Luigi M. Lombardi Satriani, Luigi Cancrini, Claude Olievenstein, Giovanni Bollea .

“Le spie dell’incertezze – famiglia, scuola, istituzioni, la costruzione del Sé allo sbando”: in esso affronto i cambiamenti all’interno della famiglia e della scuola, e soprattutto le trasformazioni delle “strutture del bene” che, partite da un impegno di assistenza agli emarginati, si trasformano in strutture di potere trascurando il loro scopo iniziale. Completano il libro alcuni dialoghi con personalità qualificate nell’ambito degli argomenti trattati, fra cui Agnes Heller, Ricardo W. Grimson, Giacomo Marramao, Arrigo Miglio, Lucia Boncori, Luisa Mele.

Dopo le esperienze legate alla comunità terapeutica, alla terapia dell’ascolto, all’ideologia della comprensione, vorrei verificare se questi strumenti siano ancora validi e se sia possibile crearne altri, senza tornare agli antichi sistemi di contenimento.


Dalla societa’ della disciplina alla societa’ del superfluo

La comunità terapeutica e l’apertura dei manicomi hanno segnato il mondo della psichiatria dopo la seconda guerra mondiale; hanno rappresentato la seconda rivoluzione in quanto scena dell’umanizzazione della cura del disagio psichico; tradizionalmente la prima scena viene rappresentata dalla liberazione che il 6 agosto 1793 a Bicêtre realizza Phipippe Pinel dei malati di mente che erano legati alle catene
Per contro Michel Foucault fa risalire la nascita della psichiatria al 1788 in Inghilterra, quando il re Giorgio III viene ricovedrato perché impazzito. Pinel descrive l’episodio:

“ Un monarca, Giorgio III re d’Inghilterra, è preda della manìa, e per rendere la sua guarigione più rapida e più sicura, vengono applicate senza alcuna restrizione le misure di prudenza prescritte da colui che ne assume la direzione ( “ viprego di notare – dice Foucault – il termine che viene scelto per definire il medico); da quel momento l’intero apparato della regalità si dissolve, e l’alienato allontanato dalla sua famiglia e da tutto ciò che lo circonda viene relegato in un palazzo isolato, rinchiuso in totale solitudine dentro una stanza le cui pareti e il cui pavimento sono rivestiti da materassi, per impedirgli di ferirsi. Chi dirige il trattamento gli dichiara che non solo non è più sovrano, ma che deve ormai essere docile e sottomesso. Due dei suoi ex servitori, dotati di statura erculea, sono incaricati di provvedere ai suoi bisogni e di rendergli tutti i servigi che il suo stato richiede, ma dovranno al contempo anche indurlo a persuadersi di essere completamente alla loro mercè, e tenuto ormai a una completa obbedienza. Essi manterrano con lui un attegiamento composto e silenzioso, ma non perderanno occasione per fargli avvertire quanto sono superiori a lui in forza.
Un giorno l’alienato in preda al suo delirio accoglie con violenza il suo vecchio medico che si reca a fargli visita, imbrattandolo con sudiciume e immondizia. Uno dei servitori entra immediatamente nella stanza e, senza dire una parola, afferra per la cintola il delirante ridotto a sua volta in uno stato disgustoso a causa della sporcizia, lo getta con forza su una pila di materassi, lo sveste, lo lava con una spugna, gli cambia gli abiti e, dopo averlo guardato un’ultima volta con fierezza, esce per fare ritorno al suo posto. Lezioni di questo genere, ripetute con periodicità regolare nel corso di qualche mese e rafforzate facendo ricorso ad altri mezzi di trattamento, hanno portato a una guarigione stabile e senza ricadute”.

Foucault vede in questa storia il passaggio del potere di sovranità del re al potere anonimo della disciplina. In tutti gli altri casi che vengono riportati nella storia della psichiatria dell’ottocento prevale l’ipotesi che il soggetto guarisca quando accetta le regole del gioco istituzionale: accetta quindi la disciplina che gli viene imposta.


La funzione della famiglia e la nascita delle scienze umane

Secondo Foucault la funzione dello psicologo, dello psicoterapeuta, del criminologo sarebbe quella di funzionare come agenti dell'organizzazione di un dispositivo disciplinare che irrompe e si inserisce proprio là dove si verifica uno sgretolamento all'interno della sovranità familiare. La funzione psy nasce all'interno della psichiatria dall'inizio del XIX secolo in un rapporto speculare rispetto alla famiglia. Quando l'individuo sfugge alla sovranità della famiglia, lo si rinchiude nell'ospedale psichiatrico, dove si tratta di addestrarlo ad una disciplina pura e semplice. In maniera graduale la psichiatria nel corso del XIX secolo occupandosi della famiglia cerca di rifamiliarizzare l'individuo.La famiglia chiedeva l'internamento, l'individuo veniva sottoposto alla disciplina psichiatrica, per poi essere rifamiliarizzato. In seguito la funzione psy si è estesa a tutti i sistemi disciplinari, la scuola, l'esercito, la fabbrica, venendo così a svolgere il ruolo della disciplina per tutti i soggetti non disciplinabili. Scrive Foucault: "Ogni volta che un individuo era incapace di seguire la disciplina scolastica o quella della fabbrica, oppure dell'esercito o al limite della prigione, allora la funzione psy interveniva”. Il referente di ogni sistema disciplinare è la famiglia. Scrive ancora Foucault: "La psicologia come istituzione, come corpo dell'individuo, come discorso, è ciò che tenderà costantemente da un lato a controllare i dispositivi disciplinari e, dall'altro, a rinviare alla sovranità familiare come all'istanza di verità a partire dalla quale si potranno descrivere e definire tutti i processi, positivi o negativi, che accadono all'interno dei dispositivi disciplinari".
La critica di Foucault si appunta all'istituzione famiglia come luogo di cui il potere si avvale per costruire il soggetto giuridico ed il soggetto della disciplina.
"La famiglia - scrive Foucault - è l'istanza di costrizione che consentirà di fissare in permanenza gli individui agli apparati disciplinari, che in qualche modo li inietterà al loro interno. E, perché esiste la famiglia, questo sistema di sovranità che si esercita nella società nella forma della famiglia, che vige l'obbligo scolastico e che i bambini, e dunque gli individui con la loro singolarità somatica, sono fissati e infine individualizzati all'interno del sistema scolastico. Perché si sia obbligato ad andare a scuola, bisogna che si eserciti la sovranità che è propria della famiglia". In questa prospettiva il ruolo della famiglia è quello di imbrigliare gli individui all'interno dell'apparato della disciplina; lo Stato è riuscito, attraverso la famiglia, ad obbligare i giovani a fare il militare.
Prosegue Foucault: "La miglior prova di ciò è data dal fatto che, quando un individuo si trova respinto fuori da un sistema disciplinare come anormale, viene rimandato, appunto, alla sua famiglia. Quando viene espulso da un certo numero di sistemi disciplinari che l'uno dopo l'altro lo escludono in quanto non assimilabile, non disciplinabile, non educabile, è nell'ambito della famiglia che torna ad essere gettato; ed è alla famiglia che in quel momento spetta il ruolo di respingerlo a sua volta come incapace di aderire ad un qualunque sistema disciplinare e dunque di eliminarlo vuoi nella forma della deriva nella patologia, vuoi in quello della delinquenza". Tutta l'assistenza sociale ha il compito di costituire una sorta di tessuto disciplinare che potrà sostituirsi alla famiglia, consentendole di ricostruirla e anche di farne a meno.

In contrapposizione alla società della disciplina secondo Foucault io individuo la società che definisco post-nevrotica, che delinea una situazione ancor più drammatica: la perdita dell’autorevolezza e dell’autorità da parte di genitori ed insegnanti riguardo al ruolo di educatori; predominano in loro il sentimento di impotenza e la sensazione di essere in ostaggio di un ruolo che viene ad essi imposto dall’ordine giuridico in quanto responsabili sia come padri che come insegnanti. I ragazzi da parte loro vivono la scuola come una vera prigione dove vanno solo perché vi sono costretti dalla legge, e non spinti dalla famiglia.Nella società post-nevrotica, infatti, i genitori sono incapaci di indurre i figli a frequentare perfino la scuola dell’obbligo; essi si trovano da una parte costretti dalla legge a mandare i figli a scuola e dall’altra contestati dai figli che si rifiutano di studiare.


Gli anormali secondo Michel Foucault

Michel Foucault ha differenziato tre tipi di anormali: l’individuo da correggere, il mostro, e l’onanista.
Tralasciando laprima categoria - i ragazzi vagabondi e privi di famiglia che in epoche passate venivano confinati in istituti correzionali e avviati a un qualche mestiere attraverso mezzi coercitivi, svilupperò alcuni concetti relativi alle altre due categorie.
Il mostro è colui che contraddice la legge, è l’infrazione che si mette fuori della legge, è il modello ingigantito, l’irregolarità della natura. Il mostro riguarda la trasgressione della natura e dell’ordine giuridico. Dal Medioevo fino al XVII secolo il mostro è essenzialmente il misto; che comprende i due regni, animale e umano; nelle rappresentazioni popolari il mostro è l’uomo che diventa lupo, l’uomo dai piedi di uccello, l’uomo con la testa di bue, l’uomo-vampiro; è anche quell’essere che si presenta contemporaneamente uomo e donna.
Dall’ottocento appare il mostro morale; il criminale viene visto come un mostro, e dietro ogni mostro – secondo la concezione dominante in quell’epoca - si nasconderebbe un criminale. Il concetto di crimine cambia: prima della Rivoluzione francese il crimine non era soltanto un danno volontario ad altri né una lesione all’interesse della società; il crimine era “crimine” nella misura in cui colpiva il sovrano, attaccava il corpo e la forza del sovrano; in ogni crimine si veniva a costituire uno scontro di forze, una rivolta, un’insurrezione contro il sovrano. Fra punizione e crimine non c’era rapporto di uguaglianza e di disuguaglianza, bensì un rapporto di rivalità tra poteri che si scontrano. Quello che uguagliava crimine e castigo era l’atrocità della pena; il potere doveva rispondere con un’azione atroce che gli permetteva di riassorbire il crimine.
Dopo la Rivoluzione francese si verifica una nuova tecnologia nell’esercizio del potere. La nuova tecnologia comprende la pubblicità dei dibattimenti e la regola dell’intimo convincimento: a un crimine dovrà corrispondere una pena che sarà applicata in maniera pubblica e in funzione di una dimostrazione accessibile a tutti e verrà approvata una unità di misura tra il crimine e il castigo. Si impone la logica del calcolo che sostituisce il principio dell’atrocità. Il crimine viene percepito come una malattia sociale. Il problema che si pone è se il mostro potrà essere sottoposto alla pena secondo la legge. Hegel sosteneva che se un delinquente era punibile dalla legge voleva dire che in realtà era considerato un essere umano razionale in tutti i sensi, quindi il mostro, esce dalla categoria di umano se non può essere sanzionato dalla legge sociale.
La Rivoluzione francese attribuisce caratteri di mostro al re Luigi XVI e alla regina Maria Antonietta : nella letteratura dell’epoca li si descrive come capaci di azioni “mostruose” come l’omosessualità, rapporti incestuosi, tradimenti, e capaci di altre anomalie sessuali.
Durante la Restaurazione è il Popolo ad essere accusato di mostruosità e viene addirittura visto da nuovi monarchici come capace di cannibalismo.
Foucault sostiene che l’origine delle discipline umane – psicologia, antropologia, sociologia, criminologia – nascono dalla necessità di risponde e assistere alla nascita della nuova tecnologia del potere. Così l’antropologia e la psicoanalisi ad esempio si occuperanno di due forme di mostruosità, il cannibalismo e l’incesto. In quest’epoca – sempre secondo Foucault – nasce la teoria del sospetto, riassunto nella formula che dietro ogni criminale si nasconderebbe un mostro, o che il mostro sarebbe potenzialmente un criminale.
Io credo che nella prima teoria di Lombroso, – in un secondo tempo il criminologo rinuncia a quest’ipotesi, mentre non vi rinunciano alcuni suoi seguaci –, che inaugura l’antropologia criminale, sia presente questa idea del mostruoso come genesi del crimine; il criminale viene rappresentato come un deforme, un soggetto dalla testa più grande o più piccola del normale. Nel museo di criminologia di Torino sono conservati degli strumenti di misurazione del cranio e, sotto formalina, il cervello di famosi criminali. Alla teoria del sospetto corrisponde la teoria della pericolosità: il soggetto pericoloso doveva essere punito preventivamente.
Queste teorie considerate scientifiche sono poi state utilizzate dal Potere per combattere gli oppositori: coloro che si reputavano oppositori del Potere, venivano messi in carcere ogni volta che il Sovrano doveva passare in un luogo da essi abitato o quando si temeva una sommossa per carestia, tasse ecc. Tali teorie sono anche state utilizzate per sostenere la necessità di pulizie etniche e di razzismi in genere.


Il tossicomane mostruoso

Analogamente, il tossicomane in un certo periodo veniva considerato pericoloso e rientrava anche in qualche modo nella categoria del mostruoso. Non si tratta più del mostro deforme, del misto fra uomo e animale; il concetto di essere fuori dall'ordinario si trasferisce ad esempio nell'artista che si comporta al di sopra delle regole, nel "poeta maledetto" capace di ogni trasgressione, fisica o verbale, nell'attore o cantante capace di affascinare le folle.
All'inizio la tossicodipendenza, l'anoressia e la bulimia e altre forme di dipendenza patologica, come il gioco, erano circoscritte a piccoli gruppi e tollerate dal Potere; quando però tali fenomeni si diffondono a livello di massa e soprattutto la tossicodipendenza e il gioco vengono gestiti a livello mafioso in quanto fonte di forti guadagni, si verifica un rischio grave nei confronti dell'intera struttura sociale.
Una società in cui i giovani si suicidano con la droga è una società malata.
Il problema di cui aveva cominciato a preoccuparsi il Potere nelle sue varie accezioni statuali - giuridico, medico, esecutivo - verteva sulla necessità di individuare le modalità attraverso cui far fronte al fenomeno della tossicodipendenza: il tossico doveva essere punito mediante l'applicazione della legge - quindi considerandolo un criminale -; doveva essere curato come un malato - o veniva considerato di pertinenza dell'ambito medico -, oppure un "soggetto da correggere", secondo la terminologia di Foucault, passando dalla considerazione dell’appartenenza alla categoria del mostruoso a quella del soggetto suscettibile, appunto, di correzione. Il soggetto da correggere non è più un soggetto straordinario, bensì ordinario in quanto lo si trova correntemente fra la gente, e quando la legge viene disattesa da una vasta parte della popolazione, secondo i criteri dello Stato, va cambiata la legge, che non può essere applicata punitivamente a così tanti soggetti, ma deve individuare nuove modalità a difesa dello Stato stesso. Ma, al di là di tali considerazioni, punizione, detenzione e cura vengono sempre messe in discussione: da una parte una sorta di forza restauratrice, che spinge perché tutti i tossici debbano essere rinchiusi in carcere oppure in strutture di contenzione, dall'altra una forza del tutto a favore del tossicomane, un "lasciar essere" perché ognuno viva come crede la sua vita e la sua morte.
Questi due sistemi – il punitivo e il permissivo - sono falliti entrambi come modelli. Il successo che hanno avuto le comunità terapeutiche negli anni '70 e '80, ritengo che sia anche dovuto alla decisione di non stigmatizzare il tossicomane né come criminale né come malato di mente, ma come un soggetto sofferente che ha sbagliato ed è da correggere.
Il modello che si impone va considerato più sul versante pedagogico che su quello punitivo o psicologico-psichiatrico.


La tossicodipendenza come masturbazione

La terza figura descritta da Foucault è quella dell'onanista. La masturbazione si pone come un segreto condiviso da tutti, ma che nessuno comunica a nessun altro; è un segreto che non viene condiviso apertamente con gli altri. La masturbazione viene considerata la radice virtuale di quasi tutti i mali, soprattutto la causa delle malattie nervose e psichiche. Sempre secondo Foucault, queste tre figure inserite nel quadro degli anormali - il mostro, l'individuo da correggere e l'onanista - hanno dato origine alla nascita delle diverse discipline o scienze umane che nascono dal modello delle scienze naturali applicate all'uomo (psicologia), alla società occidentale (sociologia) o ai popoli primitivi (antropologia) . Nell'ottocento si inserisce con più pieni poteri la psichiatria; quell'individuo che non può essere punito con la legge viene indirizzato allo psichiatra che deve dare il suo verdetto. Si pone l'interrogativo se il mostro sia o no un malato di mente.
Dall'individuo da correggere si occuperà la pedagogia. Dell'onanista invece, segnala Foucault si occuperà la famiglia insieme al medico di famiglia; insieme dovranno persuadere, controllare, punire il bambino che si masturba. La famiglia deve sorvegliare da vicino che cosa fa il bambino quando si chiude nel bagno, rimane solo nella sua stanza o si nasconde in luoghi appartati; più che peccato, la masturbazione viene considerata una vera e propria azione che va contro i principi della salute; siamo in pieno periodo di medicalizzazione della società; si impone il concetto di norma stabilita dalla medicina ufficiale: coloro che non entrano nella norma sono considerati anormali e quindi devono sottomettersi al discorso giuridico o al discorso medico; si scatena una vera e propria crociata contro i bambini e gli adolescenti che si masturbano, anche la scuola viene coinvolta in questa caccia alle streghe. I manuali di patologia riportano la masturbazione come l'origine di malattie agli occhi, meningiti, tisi, tubercolosi, e soprattutto gli alienisti considerano la masturbazione causa di alcune forme di malattie mentali.
In un periodo posteriore lo studio si concentra sul desiderio degli adulti per i bambini che diventa lo stimolo per la masturbazione; si consiglia di prestare attenzione al comportamento del domestico, della governante, del precettore, dello zio o della zia, dei cugini, che potrebbero sedurre i bambini e quindi introdurre la dimensione perversa della sessualità. I genitori vengono messi sotto accusa se non sono in grado di sorvegliare adeguatamente, e a loro vengono insegnate delle strategie per sorprendere il bambino nel momento in cui tenta di masturbarsi.
I medici consigliano ai genitori di dormire nella stessa stanza dei bambini; i genitori diventano degli agenti della crociata medica: una volta scoperto il colpevole, si deve chiamare il medico, che deve fornire le cure al bambino onanista.
La medicina aveva creato tutta una serie di apparecchiature per evitare la masturbazione. La presa di contatto fra la medicina e la sessualità avviene attraverso la famiglia. Della sessualità dei bambini si sono occupati gli psicoanalisti. La masturbazione entra in quell'atto compulsivo e ripetitivo che viene anche definito come vizio. Questo legame fra medicina e famiglia – sostiene Foucault - lo troviamo poi nella terapia familiare in cui i genitori di un figlio con problemi psicotici, di comportamento, di tossicodipendenza vengono considerati come dei co-terapeuti.
In un primo tempo del lavoro con i tossicodipendenti nelle famiglia si sono trattati i tossici come si faceva in precedenza con i bambini onanisti; gli esperti consigliavano ai genitori di guardare i ragazzi negli occhi, di sorvegliarli nel bagno e nella loro stanza, da soli o quando vi si rinchiudevano con gli amici; di cercare dove nascondesse gli strumenti della droga, di ascoltarne le telefonate, di eseguire dei blitz nel bagno per prelevare l'urina da controllare nonché di inseguirli per strada al fine di scoprire chi frequentavano.
La tossicodipendenza ha molti punti in comune con la masturbazione, ma ormai non è più - come la masturbazione - da nascondere e da non condividere. La perversione non è più un'azione da nascondere come una volta; certe forme di comportamento oggi chiedono di essere legittimate - omosessualità, sadomasochismo, voyeurismo, esibizionismo e altre forme un tempo deprecate, combattute e represse: se ne è ribaltata la valutazione morale, cancellandone la condanna; le nuove tecnologie contribuiscono a tale mutamento operando aggregazioni che si formano attraverso internet e che, liberi da controlli giuridici, si incontrano, si forniscono notizie, venendo a costituire gruppi di pressione che possono arrivare a influenzare, con la forza del numero, l'elaborazione di leggi ad essi favorevoli. In questo campo inoltre è il Potere a incitare al "godimento". L'ingiunzione di rappresentanti di potere che sorridono incitando al consumo e all'edonismo esistenziale, non nascondendo, come una volta, forme di corruzione e di trasgressione delle leggi, contribuisce ad operare tale sovvertimento. Questa stessa pressione, dal basso e dall'alto, verso la soddisfazione di tutte le pulsioni porta poi a reazioni talvolta di restaurazione, di moralizzazione, e di repressione.


La comunità terapeutica di fronte al nuovo quadro sociale

Al periodo di forte politicizzazione che parte dagli anni sessanta, intorno agli anni novanta è subentrato un periodo di depoliticizzazione progressiva della società; si è quindi profilata una fase di disincanto - concetto weberiano quanto mai pertinente -, dovuta ai cambiamenti sociali, specialmente al crollo dei partiti, delle ideologie e soprattutto alla sfiducia dei giovani in quelle forze progressiste che sembrava loro avessero perso gli obbiettivi di fronte alle tendenze dirompenti della globalizzazione.
I tossicodipendenti di questo periodo presentano caratteristiche differenti da quelli di venti/trent’anni prima; non sono disillusi dalla politica in quanto non hanno fatto scelte in questo campo; si drogano per noia, per emulazione, soprattutto nell'ambiente circoscritto alle discoteche, alle palestre, ai campi sportivi, alle playstations dove non si discute sulle finalità della società e sul proprio ruolo in essa, a cui pure questi giovani appartengono e di cui dovranno in futuro assumersi le responsabilità.
A differenza degli anni precedenti, oggi i genitori di questi giovani hanno sovente un passato di familiarità con le droghe e non avvertono di conseguenza quel dramma della rivelazione di un figlio tossico che aveva pervaso le famiglie di allora; anche in chi non ha vissuto questo passato si manifesta una sorta di indifferenza rispetto al fenomeno considerato comune alla maggioranza dei giovani, quindi avvertito più come una inevitabile condizione che come problema da risolvere; ci sono addirittua dei genitori che iniziano i figli all’uso delle droghe: ne vengono usate di nuove, più chimiche, adatte a sballi da divertimento per week end, legate all'evasione e non alla sofferenza dell’esistenza, pur trattandosi di una più inconsapevole mancanza di voglia di vivere.
Il paradosso drammatico di queste nuove droghe consiste nel fatto che chi le usa non crede di drogarsi, pensa di servirsi soltanto di una sostanza che gli renda più piacevole un momento di divertimento; non emerge la cultura del buco con gli inevitabili pericoli di infezioni, non c’è più la paura dell'ago, né le ansie del contagio all'emergere dell'aids; è svanita quella comunanza di gruppo che si creava intorno al "farsi" come una connivenza fra emarginati facendo dell'esclusione l’elemento di unione; non entra più nel gioco la criminalità degli spacciatori dell'eroina e della cocaina, perché oggi si tratta di pastiglie che si reperiscono con facilità.
Di fronte a questo nuovo quadro le comunità formatesi per recuperare i tossici hanno vacillato circa le funzioni e soprattutto i programmi da adottare; hanno cercato di adattarsi aggiornando i programmi, e trovando difficoltà a reperire dei residenti, perché i nuovi tossici rifiutano la comunità, tranne che non vi siano costretti dal giudice come alternativa al carcere, ma in questi casi si tratta quasi sempre di tossici di vecchio tipo".

 

I superflui

In definitva, questi giovani che non aspirano ad uscire davvero dalla dipendenza – e che sovente di dipendenze ne hanno altre, oltre alla droga, come il gioco, internet, l’alcool – costituiscono per la società delle sacche di individui non recuperabili nel suo contesto; essi vengono considerati un peso dal forte costo sociale; con il moltiplicarsi dei fenomeni della doppia diagnosi risultano “irrecuperabili” e superflui in un mondo che valuta la persona secondo criteri di calcolo. La mancanza di ideali non induce alla trasformazione del Sé, né d’altra parte i terapeutica possiedono delle motivazioni ideali tali da proporre progetti di vita che vadano aldilà di una sopravvivenza priva di pericolosità, e in sostanza soltanto tollerata. In una società avviata a questo genere di trasformazione, la rassegnazione più che la lotta per la guarigione è l’obbiettivo.
Ma, come accade spesso in situazioni dall’apparenza disperante, l’impegno di operatori che contrastino questo andamento a prezzo di sacrifici personali e di una strenua lotta contro le forze negative di società rivolta essenzialmente all’efficienza, può offrire insperate vie d’uscita.


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