Interviste

Arrigo Miglio, vescovo di Ivrea
intervista di Francisco Mele domenica di Pasqua, 21 aprile 2003,
Curia Vescovile di Ivrea

 

Francisco Mele - Quest'epoca viene definita dai sociologi come quella di una società dell'incertezza, o anche di una società del rischio, due concetti che credo riflettano il nostro momento storico.
In questo contesto di incertezza, di società del rischio, che cosa propone la Chiesa oggi?

Arrigo Miglio - Per quanto riguarda il rischio, la Chiesa propone il rischio più grosso che è quello della fede. Il rischio della fede significa rischiare di scommettere per Dio, di giocare la vita per Dio. La figura prototipo, il primo di questi grandi che hanno rischiato per Dio è Abramo. Tutta la riscoperta biblica del mondo cattolico di questi ultimi decenni direi che ha dato molto più spazio che non un tempo; un tempo quando si parlava di fede si parlava delle verità di fede, di dogmi, di contenuti della fede; oggi viene messa molto più in evidenza proprio la dimensione del rischio, dell'inseguire questa parola di Dio, questo progetto di Dio, ecco appunto lo schema di Abramo, la figura del credente Abramo, figura tipica del credente, di quello che parte, lascia la sua terra e va verso un paese che non conosce. Abramo è quello che si fida di una promessa che gli viene da un Dio, il quale però poi sembra che questa promessa non la mantenga mai, non se ne vede mai la realizzazione. Ecco, mi pare che questo modo di intendere la fede oggi sia venuto fortemente alla ribalta fino alla fine degli anni sessanta inizi degli anni settanta; insomma, fino agli anni del Concilio era questa la visione di fede che emergeva soprattutto. Questa, la proposta della Chiesa per quanto riguarda il rischio. Il rischio però non va necessariamente di pari passo secondo me con l'incertezza, anzi, il rischio della fede significa invece alcune certezze: la parola di Dio di per sé è portatrice di certezza; e non sono delle certezze chiuse, che impediscono di camminare. Proporre il rischio della fede non significa assolutamente proporre delle incertezze, significa proporre alcune certezze di fondo, un punto di partenza, ad esempio per quanto riguarda l'antropologia, questa è una certezza che fa fatica a entrare nella vita di oggi, cioè la certezza che l'uomo parte con un handicap, con un peso, la natura umana non è perfetta, è guasta, il peccato originale; poi possiamo tradurre questa convinzione di fede in altri termini, ma la sostanza è questa, la natura umana è segnata da questa esperienza delle origini, non è una storiella per bambini la storia del peccato originale; non tenerne conto significa compromettere un certo tipo di lavoro, di cammino che è un punto di partenza. C'è un punto di arrivo che è un'altra certezza, ed è la certezza della rivelazione di Dio in Gesù di Nazareth, e questa è una certezza importante, le certezze di cui Gesù è portatore, che Gesù ha lasciato, per quanto riguarda ad esempio la vita futura di fronte al mistero della morte: queste sono le grandi certezze di fondo, che danno un orientamento; la certezza del chicco di frumento che se non cade in terra e non muore non porta frutto, quindi la dimensione del dono, un'impostazione di vita..., sono alcuni fondamenti che sono delle certezze; però certezze che aprono, non certezze che chiudono, il dogmatismo.

F. M. - Questi principi - le tecniche della trasmissione, la pedagogia, la pastorale cristiana, familiare - come si possono trasmettere oggi, per i giovani? La Chiesa si è aggiornata per poter affrontare questi argomenti con le persone che vivono la paura del futuro, la paura del presente, la paura del perdere la sicurezza del lavoro, cose che venti anni fa la gente pensava di aver conseguito?

A. M. - Qui però allora ci collochiamo su piani diversi. Io ho inteso il discorso delle certezze e del rischio su di un livello esistenziale, simbolo della fede; qui invece c'è il livello della vita di tutti i giorni, c'è il livello economico, siamo davvero in un periodo di grandi incertezze. Questo caratterizza la situazione dei giovani, la situazione del lavoro... Tutto questo rende a volte più difficile accogliere le certezze della fede, questo sì. Il legame fra questi due livelli mi pare di vederlo: proprio perchè tutto è incerto, tutto è precario, il rischio è quello di vivere senza progetti, di vivere alla giornata, di non preoccuparsi più delle grandi certezze, dei grandi temi di fondo esistenziali, ci sono problemi immediati da risolvere, nel quotidiano. Credo che uno dei modi di non aiutare soprattutto i giovani a cogliere le grandi certezze della vita sia quello di continuare qualche volta a parlare dei divieti che non invece di proposte di vita positive; qualche volta, come Chiesa, come maestri di Chiesa, come educatori, religiosi, rischiamo di essere più attenti ai divieti, ai no che diciamo, che la Chiesa dice, che non invece a proposte di vita; i no sono soltanto dei paletti, dei limiti, ma c'è un modo di vivere una proposta evangelica di vita, questa forse viene evidenziata troppo poco, si dà per scontata; si dà per scontato che già i giovani conoscano la proposta evangelica di vita, dell'impostare la vita dal punto di vista cristiano - Francesco d'Assisi ad esempio -, ma una vera iniziazione cristiana non la ricevono più, c'è un'iniziazione di altro tipo. Quindi forse tutta l'impostazione educativa, catechetica, deve cambiare. La Chiesa italiana, la CEI da molti anni ha un progetto di catechesi che è poco conosciuto; forse non è totalmente sfruttato ma è già in questa impostazione nuova, il cammino di catechesi ufficiale che la Chiesa propone per i bambini dagli inizi fino alla cresima, alle soglie dell'adolescenza è un proposta rinnovata; sono i catechisti, sono proprio gli educatori che non erano abbastanza preparati a recepire questo modo di fare catechesi più in positivo che in negativo; e quindi questo progetto stenta un po' a passare, può essere utilizzato, valorizzato fino in fondo con tutte le potenzialità che ha.

F. M. - Viene detto molto spesso che uno deve ascoltare la propria coscienza, "devi essere te stesso"..., sono delle proposte di oggi. E questo potrebbe riguardare la conquista dell'uomo a dialogare con la propria coscienza. Ma se da una parte ciascuno era riuscito a dibattere idealmente con i maestri, con la sapienza dell'uomo, con la sapienza cristiana su questo piano, oggi che manca, c'è una rottura di molti ragazzi con questa tradizione della sapienza, con chi dialogano questi giovani, se non c'è più questo riferimento? A questo punto io credo che questa catechesi che tu dici dovrebbe aiutare a impostare una struttura della coscienza in cui uno possa non sentirsi solo, ma possa dialogare con qualcun altro. Si dice che la coscienza è dialogo. Nel testo del mio libro, più che del dialogo, io parlo di trialogo, partendo dalla frase di Cristo "Se due parlano nel mio nome, io sono con loro"; non c'è mai un dialogo "tu a tuù2, ma c'è sempre un trialogo. Su questo vorrei sentire il tuo pensiero.

A. M. - Ripartiamo dalla coscienza. La coscienza di un uomo è sempre la coscienza di una creatura; l'uomo non è Dio, l'uomo è creatura. Quindi, certo, luogo delle decisioni ultime è la coscienza, ma la coscienza diventa una buona guida nel prendere le decisioni, nelle scelte di vita, se la utilizzo nel quadro in cui sono collocato; la coscienza mi dirige, mi guida rettamente se io tengo conto dei miei limiti, e il limite è proprio quello della creaturalità, e quindi il riferimento a un mondo che non ho creato io, di cui non sono signore, il riferimento a delle leggi di natura, questo è un altro punto oggi molto contestato, anche da certa teologia; negare, scavalcare, ignorare completamente un concetto di legge naturale, che mette in crisi tutto un discorso etico, un discorso di leggi naturali, significa semplicemente riconoscere delle leggi che il Creatore ha posto. Se la coscienza non si muove dentro a questa consapevolezza, a questo ambito, se non riconosce i limiti, diventa una coscienza impazzita, che porta l'uomo a reagire in un modo sconsiderato, diventa una coscienza falsa perché porta l'uomo ad agire per ciò che non è; l'uomo non è signore della storia, del mondo o degli altri, delle persone; e questo discorso della coscienza io credo che vada inquadrato anzitutto in questa dimensione di rapporto fra creatura e Creatore, e mondo nel quale il Creatore ha messo l'uomo. Poi c'è il discorso della tradizione. Questo nella catechesi ad esempio è molto importante perché anche nel progetto di catechesi che la Chiesa italiana si è dato in questi anni è una catechesi che è pensata e progettata all'interno di una comunità credente, quindi l'anello in riferimento alla tradizione è tramite una comunità vivente, non è una catechesi scolastica o parascolastica, almeno non deve essere così, non è un apprendimento di nozioni, il concetto di fondo della catechesi che oggi si cerca di far crescere è quello di iniziazione. L'iniziazione avviene se c'è una comunità che inizia i suoi giovani man mano che crescono, perché si tratta di arrivare ad una impostazione di vita, non ad un apprendimento di nozioni. Certamente anche alcune nozioni sono importanti, ci sono dei contenuti della fede da conoscere, ma il cammino di fede, la crescita, la catechesi, l'iniziazione avvengono proprio all'interno di una tradizione, allora lì la coscienza impara a maturare le proprie scelte; allora la coscienza come momento ultimo, ma senza saltare tutti i passi precedenti per giungere alla decisione di coscienza, c'è tutta una serie di conoscenze, di esperienze da vivere per poter arrivare a delle decisioni di coscienza. E anche qui il concetto di tradizione come un concetto di tradizione vivente, la tradizione vivente della Chiesa almeno è la comunità credente. E la tradizione del passato è importante perché vuol dire il collegamento con la comunità credente che è esistita prima di noi, non siamo i primi credenti, veniamo dopo venti secoli, quindi ilo cammino vivente del Vangelo, della fede, è passato attraverso venti secoli di comunità credente, che ha vissuto le sue esperienze, ha fatto le sue scelte, questa è la tradizione, non è un concetto rigido. Allora lì la coscienza è la sede, il luogo delle scelte di ciascuno. Credo che ci siano molti equivoci sul termine coscienza. Normalmente coscienza viene usato in senso proprio individualistico, libero arbitrio sganciato da ogni riferimento sia verticale, verso l'alto, sia orizzontale, verso gli altri.

F. M. - E' la coscienza che segue più gli impulsi personali.

A. M. - Soprattutto è una solitudine di decisioni.

F. M. - Per questo il tema del trialogo. Il dialogo con l'altro, quello che mi collega con l'altro è una tradizione può essere comune oppure diversa, come può essere quello che riguarda la domanda che intendevo farti adesso, il cui argomento è la multiculturalità che noi stiamo vivendo in Europa: recuperare secondo te questa tradizione cristiana, ma come dialogare con altre religioni e convivere, non solo dialogare, ma convivere. Come si prepara la Chiesa in questa pedagogia di cui parlavi, a dialogare con altre tradizioni?

A. M. - Per questo dialogo interreligioso - dialogo con altre religioni non cristiane, non dialogo con altre religioni cristiane, perché allora il discorso appartiene ad un altro contesto, invece qui mi pare che il problema sia proprio questo dialogo interreligioso con l'Islam, con l'Oriente, e un dialogo con un certo mondo laico - credo che i testi base, i testi fondamentali restino ancora quelli del Concilio, sulla libertà religiosa, sul dialogo con le altre religioni. Alla base di questo dialogo la Chiesa mette però sempre la consapevolezza del ruolo che la figtura di Gesù Cristo ha per i cristiani, quindi un punto di riferimento, una specie di ancoraggio, perchè il dialogo non diventi inseguire un po' il vento qualche volta; capire Gesù Cristo come momento culminante della rivelazione di Dio, ma anche della conoscenza dell'uomo Gesù Cristo aiuta a conoscere l'uomo, è un punto ad esempio che sta molto a cuore a Giovanni Paolo II, ma è un punto del Concilio e della "Gaudium et spes", Gesù Cristo come chiave di lettura per conoscere il mistero dell'uomo, per capire davvero chi è l'uomo, che cos'è l'uomo. Quindi è un dialogo, è vero, che fa riferimento al ruolo unico di Gesù Cristo, ma è un dialogo che ha come terreno di dialogo soprattutto l'uomo, la persona umana: questo mi pare che sia il punto sul quale la Chiesa in questi anni ha insistito molto e che sia davvero il terreno su cui cercare un dialogo, per non fare sterili confronti o sterili diatribe fra un'esperienza religiosa ed un'altra, il cercare invece una vera base comune, e quindi approfondire la centralità della persona umana, il ruolo dell'uomo, il senso del mistero dell'uomo, l'uomo come mistero, la sua posizione unica nel creato. E' interessante credo anche questa correlazione nella misura in cui la rivelazione del Vangelo, la persona di Gesù Cristo ha una posizione unica, non è assimilabile a nessun altro fondatore di religioni, di maestri eccetera. Anche l'uomo viene ad avere una posizione unica nel creato, non è omologabile, né assimilabile, non è una parte strumentalizzabile, l'uomo è il vertice, è un valore assoluto, la dignità della sua persona, il valore della sua vita. Mi pare che i due aspetti siano legati, e cercare un dialogo su questa base, approfondire la conoscenza del mistero uomo mi pare che sia anche un modo per evitare i fondamentalismi di oggi, di cui si ha molta paura giustamente. Però appunto nel dialogo la Chiesa, noi cristiani distinguiamo fra fondamentalismo e riconoscimento di valori assoluti. A me pare evidente che l'avere alcuni punti di riferimento fermi, alcuni valori assoluti diventa una garanzia contro i fondamentalismi, perché il fondamentalismo alla fine è una forma di chiusura, di paura, di difesa, mentre invece se i riferimenti assoluti sono altri, sono fuori di me, allora non c'è motivo di difesa.

F. M. - Mantenendo come base i valori di cui hai parlato, come pensi che si possa influire sui giovani oggi, attraverso forme di aggregazione che recuperino certi punti di riferimento che una volta emergevano attraverso persone della famiglia o maestri nella scuola, e che oggi, a causa della famiglia mononucleare e della caduta della funzione dell'insegnante, rischiano di venire sostituiti da figure effimere, legate al mondo delle discoteche, dei cantanti, dei campioni dello sport e così via.

A. M. - Intanto questi incontri anche grossi, fatti in occasione delle giornate col Papa, o anche in altre occasione hanno poi delle ricadute positive per i giovani nel loro territorio. Ad esempio queste giornate in tutti questi anni sono state occasione di riaggregazione dei giovani, che vengono incoraggiati ad aggregarsi, vengono motivati nei loro impegni,; questo è sicuramente positivo, e aiuta i giovani anche a superare una certa solitudine, soprattutto i giovani credenti, che col fatto di scoprirne altri, di scoprire anche la bellezza di vivere insieme dei momenti come credenti, è una delle ricadute positive che nelle varie diocesi si stanno constatando, e, un'esperienza dopo l'altra, sono diciotto anni ormai di incontri cadenzati di giovani a livello internazionale e nazionale. Un altro aspetto, proprio per saldare il cammino dei giovani, il mondo dei giovani con il discorso dei valori - altro grosso problema -, mi pare che le strade siano sostanzialmente due. La prima è far incontrare loro delle persone, dei testimoni, delle persone che vivono; e credo che uno dei motivi per cui i giovani rispondono numerosi agli incontri con il Papa, più che per le catechesi che il Papa fa, per le cose che dice, sia per lui come persona, è il fatto che i giovani vedono comunque in lui un testimone di valori che magari loro non riescono ancora a vivere in maniera coerente, soddisfacente, ma che comunque sono un punto di riferimento. Il Papa e ciò che il Papa rappresenta, in questi anni: viene fuori lui, abbastanza diverso umanamente, come esperienza, anche di sofferenza, anche come capacità di andare contro corrente, e ultimamente con questa storia della pace, umamanamente parlando non ha ottenuto molto dal punto di vista dell'efficientismo dei risultati; probabilmente come coscienza dell'umanità ha ottenuto molto di più e qualcosa ha piantato. Il Papa per la sua esperienza personale, un'esperienza molto nuova, per uno che diventa Papa dopo aver lavorato in miniera, attraverso l'esperienza del socialismo reale, attraverso una religiosità come quella polacca che è una cosa diversa dalla religiosità mediterranea. E i giovani cercano delle persone così, di riferimento, e non ne trovano tante.

F. M. - Anche per quello che riguarda i futuri preti, quindi per quello che può essere il discorso dei formatori, in questo caso i giovani che sono in seminario e poi dovranno agire per creare la coscienza dei giovani, mi interessa sapere come ti ci rapporti tu. I preti sono proprio fra i leaders dei giovani, non lavorano magari direttamente sempre con tutti, ma lavorano con i giovani che dovranno formare altri giovani.

A. M. - Mi pare che il clero più giovane abbia proprio questa sensibilità, di preoccuparsi meno della massa e preoccuparsi invece di costruire altri formatori, un lavoro di persona, il discorso della catena che si trasmette, c'è l'accostare uno per uno, delle persone che poi faranno lo stesso lavoro con altri. L'altra strada, secondo me, per aiutare i giovani ad operare questa saldatura è aiutarli a conoscere la storia, quindi a vedere, e a saper leggere la storia, la storia ad esempio dei regimi politici, dei popoli, delle ideologie, che cosa hanno prodotto, delle varie esperienze politiche ed economiche: da queste cose credo si possa aiutare a capire, a risalire ai principi. In fondo la grossa sensibilità che i giovani ancora hanno è di fronte alle povertà del Terzo Mondo, di fronte alle ingiustizie, di fronte alle contraddizioni del mercato, io credo che possa essere una pista interessante. I giovani sono sensibili certamente più dal punto di vista assistenziale esistenzialistico, ma i giovani fanno anche un'analisi delle cause delle enormi ingiustizie che ci sono fra il nord e il sud del mondo; è vero che oggi questo da noi è un discorso un po' meno in voga perchè si tende a bollarlo come un discorso pauperistico, dei decenni passati, però invece il discorso rimane vero perché gli squilibrfi mondiali aumentano.

F. M. - Aumentano anche in Europa.

A. M. - Quindi uno dei nostri compiti educativi è quello di non soltanto intervenire per aiutare questo povero o quell'altro o quella situazione di emergenza, le grandi sottoscrizioni per le calamità che vengono man mano messe in prima pagina, che ci sono e sono reali, ma invece leggere la storia, sì; occorre aiutare i giovani a risalire alle cause vere, alle situazioni di squilibrio e di ingiustizia, che poi potenzialmente sono degli esplosivi per altre guerre. Io passerei da queste due strade, due piste, proprio per non ridurci a fare dei discorsi di massimi livelli, che aiutano a focalizzare i temi e i problemi, ma poi concretamente dal punto di vista formativo, fare incontrare delle persone autentiche, delle persone che diano questa sintesi di valori nella loro vita.

F. M. - E' senz'altro fondamentale che ci siano delle persone di questo tipo. Come vedi i preti futuri, oggi che le vocazioni sono molto ridotte, e forse tanti che un tempo sceglievano questa strada fanno scelte differenti? Inoltre i giovani di oggi hanno possibilità più vaste di essere informati, di studiare, di apprendere, e di conseguenza occorre che anche i sacerdoti che hanno a stabilire un dialogo con loro si trovino preparati a farlo.

A. M. - Oggi qualsiasi ragazzo che entri in seminario sicuramente ha davanti a sè prospettive carrieristiche ed economiche molto più modeste di quelle che avrebbe stando fuori. In qualsiasi campo un ragazzo realizza in tempi più rapidi e con soddisfazioni economiche maggiori. La prospettiva deel prete oggi è una prospettiva economicamente molto modesta.

F. M. - Ma oggi che i maestri sono rari, i preti dovrebbero occupare questo ruolo. C'è uno spazio da ricoprire.

A. M. - Anche nel contesto sociologico ieri il prete contava nel paese, nella parrocchia, oggi conta molto meno. La società è più secolarizzata, i notabili sono altri. Oggi è un momento in cui vengono fuori delle figure femminili, molto coraggiose. Le esperienze nostre recenti, di donne, di suore che lavorano nel Terzo Mondo in condizioni davvero difficili. Qui qualche settimana fa abbiamo avuto il Patriarca palestinese monsignor Sabbà di Gerusalemme, abbiamo messo insieme 900 giovani delle scuole superiori che lo hanno ascoltato e gli hanno fatto delle domande. Ma dal vescovo che vive in una situazione di frontiera, alla suora che vive in un paese a grande rischio, queste sono figure che vengono ascoltate. E i giovani sanno distinguere fra chi parla e chi porta delle esperienze.

F. M. - Le nuove configurazioni familiari e la Chiesa. Io credo che il modello della famiglia proposto dalla Chiesa, e la famiglia ricomposta, la famiglia frammentata, monoparentale, tutta una serie di configurazioni che si fa fatica a definire, non coincidano. Come reagisce allora la Chiesa di fronte a queste nuove situazioni, come le affronta? Si rischia a volte che la gente non si avvicini più alla Chiesa, temendo di esserne respinta.

A. M. - Mi pare che si possano dire due cose di livello abbastanza diverso. La prima, a livello più immediato: è vero che le famiglie divorziate, risposate, le situazioni che secondo l'etica cristiana non sono regolari, chiamiamole come vogliamo, è vero che il rischio è che tutte queste persone che vivono queste situazioni si sentano fuori, anche se nelle indicazioni della Chiesa, anche nei documenti della Chiesa c'è continuamente la raccomandazione che queste persone non si sentano fuori; ma ci sono dei limiti disciplinari per quanto riguarda i sacramenti, assolutamente non c'è mai una parola che dica che questa gente è fuori dalla comunità; poi è vero che vuoi perchè i massa media danno sempre più rilievo ai divieti che la Chiesa dice che non alle cose positive, vuoi perché forse anche il linguaggio dei documenti della Chiesa qualche volta dovrebbe essere più propositivo, più attento a mettere in evidenza la proposta, la positività che non il divieto, fatto sta che si è creata questa mentalità, che chi vive queste situazioni è fuori. Ora, una limitazione disciplinare per la recezione dei sacramenti non significa che uno sia fuori dalla comunità, significa che è in una situazione di limite, oggettivo poi tra l'altro, perché la Chiesa parla di situazioni oggettivamente non in regola, soggettivamente la coscienza di ciascuno soltanto il buon Dio la conosce; questo è un primo livello di discorso; ma mi pare che ci sia un altro livello che secondo me è più importante, cioè a monte di qualsiasi considerazione sulla famiglia, a me pare che si debba ritornare, come accennavo già prima, al discorso antropologico, cioè il vero discorso che la Chiesa fa è "Quando è che l'uomo si realizza veramente?". L'essere umano esiste come maschio e come femmina, come uomo e come donna, questa è la struttura antropologica fondamentale; la famiglia parte di qua, la famiglia è l'incontro dell'uomo e della donna che nel loro incontro realizzano pienamente il disegno del Creatore, quindi è per questo che la Chiesa è ferma non ad un modello sociologico di famiglia, ecco, ma la Chiesa si ispira ad una rivelazione antrologica sull'essere umano, di qui allora tutto il discorso sulla famiglia, proprio perchè c'è questa consapevolezza che due esseri umani trovano la loro piena realizzazione su questa strada, nel cuore stesso della realizzazione biblica, quindi della concezione dell'uomo e della donna che viene fuori dalla visione ebraico-cristiana; tutto il resto viene dopo, e questo incontro è un incontro che di natura sua è teso a generare altre vite, non solo, ma comunque l'orientamente rimane quello; ma a monte di questo orientamento del generare altre vite, c'è la configurazione stessa dell'essere umano, che sono fatti l'uno per l'altra, o l'una per l'altro, lì trovano la loro piena realizzazione, questo è il punto fondamentale che mi pare oggi divide la Chiesa da altre concezioni di famiglia o di famiglie, o altre fome di famiglie di cui tanto si parla; ma a monte ci sono concezioni diverse dell'essere umano.

F. M. - Io ti ringrazio per questo incontro. Hai chiarito il mio pensiero circa la comunità e il singolo, le comunità che possiedono come persona la tradizione, la persona che vive nella comunità ma conserva la sua categoria, non si tratta di due categorie escludenti, ma che si integrano; la persona aiuta la comunità a crescere, la comunità aiuta la persona a crescere, perchè ci sono concezioni in cui la comunità diventa come un ostacolo alla crescita della persona, e allora si vive la comunità come una specie di chiusura, come comunità che porta anche al fondamentalismo. Altro aspetto è quello dell'individualismo, della persona che si chiude in se stessa e che vive la solitudine; queste due categorie che hai segnalato, si integrano.

A. M. - Forse è il vero trialogo di cui parlavi prima, cioè io tu, la comunità. Il trialogo evangelico dove due sono riuniti e io sono in mezzo a loro, trasportato, incarnato nella situazione sociologica diventa io, tu, e la comunità.


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